Quando il primo ministro inglese Boris Johnson due mesi fa ha affermato che secondo lui l’immunità di gregge sarebbe stata un’arma efficace nella lotta al COVID-19, si è scatenato un enorme dibattito sulla questione.
Ma cosa si intende effettivamente per immunità di gregge?!
Prima di tutto è bene specificare che quando si parla di immunità si intende la capacità dell’organismo di resistere ad agenti patogeni, che si distingue in innata e acquisita. L’immunità innata è la nostra prima linea difensiva fin dalla nascita, ma non è in grado di dare risposte mirate. L’immunità acquisita invece rappresenta l’insieme delle risposte specifiche che il sistema immunitario attiva in presenza di patogeni ed è alla base dell’acquisizione della cosiddetta immunità di gregge.
Nell’ambito di una comunità di persone, l’immunità acquisita può portare a una “immunità di gregge”: se la grande maggioranza degli individui è vaccinata (il vaccino è un metodo molto efficace per ottenere l’immunità acquisita), essa limita la circolazione di un agente infettivo, andando così a proteggere anche coloro che non sono vaccinati. Questa forma di immunità collettiva si può raggiungere anche in modo spontaneo, come accade ad esempio spesso con l’influenza.
Il problema principale nel provocare un’immunità di gregge spontanea per combattere il COVID19 è rappresentato dal fatto che il virus è ancora per lo più sconosciuto (si pensa che possa facilmente cambiare nelle prossime stagioni), rendendo l’immunità collettiva una scelta molto rischiosa se non si fa ricorso ad un vaccino. Senza calcolare, poi, il costo che questa operazione avrebbe in termini di vite umane o il fatto che l’elevata contagiosità del virus renderebbe praticamente impossibile ogni tentativo di controllare o di gestire la sua diffusione.
F.B.